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Immagine di Pixis |
A forza di rinchiudersi
nella sua camera oscura, che gli ricordava tanto un rettilario per
via delle luci e temperatura al suo interno, Ronald aveva scoperto
una sensazionale abilità. Intanto, come si compiaceva di notare,
andava impadronendosi via via sempre di più dei segreti della
composizione e della prospettiva. Nelle sfumature di grigio dei
negativi che maneggiava e tendeva con cura come sacre sindoni sapeva
già vedere con un'esattezza assoluta i colori nascosti che si
sarebbero rivelati dopo lo sviluppo. Ma, più importante ancora, in
quei rullini gocciolanti riusciva a vedere i suoi soggetti, uomini e
donne, spesso bambini, come qualcosa di diverso. Gli alter ego
negativi conservavano sempre qualcosa delle figure originali, ma
erano allo stesso tempo diverse, mutate, invecchiate, trasformate.
Se ne era accorto una
sera, dopo una lunga sessione di scatti ad una scolaresca in
occasione della giornata del Papà.
Scorreva le foto dei
piccoli soggetti, ne avrebbero fatto dei quadretti per i loro
genitori. Quel giorno per Ronald era un giorno come gli altri. Si era
svegliato alle 7:20, aveva consumato una regolare colazione con due
toast con marmellata alla pesca e una merendina al cioccolato, si era
sorbito lentamente un caffé e aveva disciolto un integratore agli
agrumi nell'acqua. Con la sua attrezzatura era andato al grande
centro commerciale nuovo, gemello del centro commerciale storico che
ostinato si ergeva ancora davanti al suo virile vicino, fiero nei
suoi muri ingrigiti da anni di traffico perenne.
Lavorava in una piccola
bottega. Anche se la natura del suo lavoro necessiterebbe di un
chiarimento: anche chiamandola Bottega del Fotografo in realtà si
trattava della filiale di una catena di cabine automatiche per lo
sviluppo delle fototessere per documenti amministrativi. Ronald era
poco più che un tecnico della cabina automatica, un suo aiutante a
voler indorare la pillola. Però era riuscito (con una serie di mail
alla direzione e di fatto ancora esercitando la professione in
maniera parzialmente abusiva rispetto alla politica aziendale, ma
coperto dall'impunità riservata ai piccoli comuni lontani dalla sede
centrale) a guadagnarsi un suo spazietto per degli scatti un tantino
più articolati.
Quindi aveva allestito
uno sfondo grazioso, piazzato delle luci, e fatto entrare uno alla
volta i bambini. Li piazzava davanti al suo trepiedi, su cui era
incastonata la compatta con il miglior obiettivo che le circostanze
suggerivano, e scattava. Click! Una volta srotolato il rullino, però,
non riusciva più a ritrovare i suoi piccoli modelli. O meglio,
invece del timido Alex, di Thomas con il moccio al naso, della
scontrosa Rina e del taciturno Rasheed c'erano dei signori e signore
ambigui, distinti, smagriti, abbagliati, spelacchiati, in carriera,
di un sesso diverso da quello di partenza. Ronald continuava a
rigirare e a strabuzzare gli occhi di fronte a quelle apparizioni,
era davvero sconveniente che degli adulti di dubbia moralità si
intrufolassero negli scatti di una scuola elementare. Però, una
volta sviluppate, ad abitare i riquadri della foto tornavano i loro
legittimi proprietari, forti dei loro pochi anni e nel trionfo di
tutti i loro colori. Solo nella magica alchimia di argento e reagenti
chimici, filtrati dagli occhi verdi del fotografo, i negativi
svelavano una realtà ulteriore, aumentata. Proiettavano l'esplosione
del semino di potenzialità in quei bambini, l'obiettivo della sua
compatta era diventato un telescopio per sbirciare nel futuro, o
forse solo nei loro desideri, nella tangente temporale che passava
per la loro vita in quel punto e che di fronte alle future scelte
avrebbe anche potuto assumere una diversa inclinazione, o traslare
del tutto. Questa almeno fu la sua prima supposizione, per
avvalorarla continuò gli esperimenti.
Inizialmente provò a
fissarsi su Dominic, uno dei cocchi della maestra. Intanto perché lo
incuriosiva il suo accento francese, poi perché voleva approfondire
meglio il suo avatar adulto, che sembrava una sorta di culturista
olivastro che però guidava anche le macchine di Formula Uno. Si
diceva, se dovessi notare una piccola variazione nei suoi desideri
così dovrei notarla.
Si scontrò ben presto
con un problema di ordine sociale. Gli anni non perfettaente portati
addosso conferivano a Ronald l'aspetto di un uomo non più giovane
dei quaranta – complici le calvizie incipienti sopra la lunga coda
di cavallo e i vestiti di un paio di taglie più grandi per omaggiare
i furori musicali adolescenziali– e questo fatto lo metteva in una
situazione di grave pericolo, quando si appostava con la macchina
fotografica di fronte al cancello della scuola.
Sfuggito al linciaggio da
parte dei genitori in apprensione, Ronald sviluppò un nuovo metodo,
e si mise a nascondersi in piena vista al parco comunale.
Il bersaglio migliore per
i suoi esperimenti, più degli anziani con le loro aiutanti, più
delle coppiette tra gli alberi, meglio degli scacchisti slavi, erano
i podisti perché loro erano i più costanti nelle visite,
consentivano più scatti ad ogni sessione ed erano troppo assorti e
troppo veloci per notarlo e rimanere infastiditi dalla troppa
attenzione non richiesta di un paparazzo.
Uno in particolare, un
giovane marocchino che aveva tutta l'aria di stare per fare il salto
nel professionismo, si allenava praticamente tutti i giorni, e il
metodo scientifico che Ronald applicava alle sue osservazioni diede i
risultati sperati.
Alla prima sessione di
scatti, l'atleta apparì fiero illuminato dalle luci rossi nel
piccolo laboratorio chimico di Ronald. Baldanzoso, con un petto ampio
e gambe solide, degne di un campione iridato. Nella stessa identica
mise apparve nei due giorni successivi. Non si stupiva, bastava
notare il vigore con cui batteva il terreno coi piedi ad ogni
falcata, avrebbe fatto strada. Il quarto giorno lo congelò in
un'altra veste: capelli a spazzola, corpo appesantito e divisa colma
di lustrini e placche colorate. In fin dei conti molti professionisti
militano nelle squadre dell'esercito, carriera che può ben destare
l'interesse di alcuni uomini. Se non altro, non avrebbe temuto la
marcia. Il giorno dopo non si rischiò un appostamento sotto la
pioggia per non mettere in pericolo i suoi obiettivi, ma quando tornò
a scattare vide il suo atleta – sempre puntuale – trascinare con
fastidio la gamba destra, la faccia grave e grondante di sudore come
mai prima. Il negativo mostrava una pappagorgia così grande da
essere visibile anche sotto la barba lunga e incolta, i giochi di
grigio traducevano nel loro gioco di opposti un colorito malaticcio,
da salute trascurata. Quella figura, che tanto aveva spaventato
Ronald, si dissolse nel giro di una settimana come un fantasma,
ritrovò "colore" e forma fino a riavvicinarsi al
meraviglioso iridato dei primi giorni. Tornando fluida e
spettacolare, la sua corsa ritmica esorcizzava lo spettro di un
fallimento futuro. Il podista si era rimesso sul giusto tracciato.
Più cominciava a
prendere confidenza con la sua nuova visione, più continuava a
scattare e a imprimere su grigio quei boccioli di futuro, che poi
sviluppava fino a farle tornare nella colorata incubatrice che li
gestiva.
Passarono alcune
settimane, e Ronald era di buon umore. Aveva mangiato una buona
arancia e quella mattina il camion della raccolta differenziata era
passato con puntualità. Quindi nel suo studiolo nel centro
commerciale piantò il trepiedi, si sedette sul suo sgabello, diede
una sistemata ai capelli e pigiò l'interruttore nella sua mano per
concedersi un autoscatto.
Nella sua cripta sotto al
livello del terreno, però, quasi cadde per terra. Controllà e
ricontrollò la lunga striscia del rullino, la scandagliò in tutta
la sua lunghezza, una posa dopo l'altra. E non si trovò da nessuna
parte.
Passarono alcuni giorni
di tentativi, rullini e rullini di foto del muro. Oramai la sua
superiore e collega, la cabina automatica, faceva tutto il lavoro,
mentre Ronald continuava a sedersi e a scattarsi febbrilmente una
foto dietro l'altra. Provò a concentrarsi, a essere il più
"tangibile" possibile. Prima pensò a tutte le cose più
felici che potessero venirgli in mente (le scuole medie, il primo
bacio, il secondo bacio, la notte di Natale, il terzo bacio, la prima
foto sviluppata del suo cane), poi le più tristi (l'ultimo bacio, le
lunghe file per i sussidi, la prima Nikon data in pegno, il saluto
finale al suo suo Bobby). Nulla. Si sottopose anche ad un check-up
completo, ma nemmeno tutti i valori perfettamente allineati
convinsero la sua ombra a tornare a casa.
Passò del tempo,
un'altra stagione cambiò e anche quella stava per finire. Di tempo
per i suoi esperimenti Ronald ne aveva a iosa, dato che la Bottega si
era accorta che l'unica spalla di cui aveva bisogno la sua cabina
automatica era una donna delle pulizie tre volte la settimana. Eppure
in quei giorni infiniti scattò poco e altrettanto poco mangiò, o
uscì di casa, o fece alcunché. La sua scomparsa lo rattristò
molto, e il suo umore andava ancora più in discesa rapida quando
rifletteva sul fatto che nemmeno i suoi stessi obiettivi lo
includessero. Sperava che ciò rendesse più facile separarsene
vendendoli per fare fronte all'affitto e alle bollette, ma rimase
deluso anche qui.
Era arrivata la stagione
fredda, Ronald si stringeva nei suoi due cappotti lisi, uno che
serviva per proteggerlo dal freddo, l'altro per dargli un po' di
spessore a compensazione dei chili persi.
Attraversava la città in
lungo e in largo a piccoli passi, viveva di espedienti, salutava
vecchi conoscenti senza fermarsi troppo a parlare. Aveva ancora una
macchina fotografica, ma non la portava più con sé.
Erano finiti i tempi
delle foto, i tempi degli esperimenti, i tempi degli incontri. Era
l'epoca delle lunghe camminate e delle guance scavate, l'epoca della
fronte tenuta tanto bassa che il resto dell'umanità gli si
manifestava sotto forma di paia di scarpe.
Si sentiva come un
satellite abbandonato alla deriva, senza più contatti con la Terra e
ogni giorno più lontano di quello precedente.
Ronald stava
attraversando il parco cittadino, dove di tanto in tanto trovava
cartoni di pizza con parte del loro contenuto ancora intatto. Il
prato ghiacciato e gli alberi spogli fischiavano attraversati dal
vento in una beata solitudine, che se non fosse diventata una
condizione totalmente ordinaria per lui avrebbe trovato il momento
commovente. E cominciò a scenere la neve.
Dopo pochi minuti il
sudario bianco si stese sull'erba e sulle panchine, coprendo allo
stesso modo le buche scavate dai cani e le lattine abbandonate.
Uniformità. Solitudine. Uguaglianza. Se anche lui si fosse sdraiato
lì in quel punto, pensò, si sarebbe unito alla perfezione del
bianco e sarebbe rispuntato a primavera.
Osservava i singoli
cristalli di neve. Gli si appoggiavano sulla spalla, e quelli che
cadevano distanti dagli altri si scioglievano subito. Si posavano su
di lui, cadendo dal cielo. Allora, si disse, io esisto, in qualche
modo. Eppure si sentiva come un bimbo sperduto privato della sua
ombra, e allo stesso modo aveva iniziato a sentire il ticchettio del
tempo che lo inseguiva, solo che lui non era più un bimbo da tempo e
pensava che si sarebbe lasciato azzannare volentieri. Dov'era la sua
ombra? Il suo copilota, la sua anima, il suo spirito? Chi c'era
insieme a lui?
Uno scherzo del tempo
agitò i rami, che cantarono un attimo per lui e lasciarono cadere
sbuffi candidi. Ronald si girò, dietro di se non vide nessuno, solo
la scia delle sue impronte sul terreno. Arrivavano dalla fine del
parco e terminavano sotto le sue scarpone consunte. Marciavano come
un plotone silenzioso alle sue spalle e ora erano lì, invisibili,in
attesa di ordini. Ecco chi. Lui c'era sempre stato fino a quel
momento. Lui, lui, c'era stato lui con Ronald, lui in Ronald, lui per
Ronald. Ma così preso dalle cose che osservava intorno a sé, forse
non ci aveva fatto caso. Si girò, contava le impronte sul terreno
che non svanivano neppure sotto la nevicata insistente. Non aveva
fretta e non sentiva freddo. Poi si mosse di nuovo.
Arrivato a casa si lavò
con l'acqua fredda, poi si sbarbò per bene e mise una camicia.
Odoravano di chiuso, ma non faceva nulla.
Prese uno sgabello e lo
posò al centro della sala. Poi andò nel ripostiglio, e armeggiò un
po'.
Tirò fuori il vecchio trepiedi, prima di posarci sopra la sua vecchia compatta la carezzò con un panno per liberarla da uno spesso strato di polvere.
Tirò fuori il vecchio trepiedi, prima di posarci sopra la sua vecchia compatta la carezzò con un panno per liberarla da uno spesso strato di polvere.
Seduto sullo sgabello,
tirò un sospiro verso l'obiettivo puntato verso di lui. E sorrise.
Click!
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