Accettabile
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La
videocamera è accesa, aspetta solo me e il mio spettacolo. Mi
avevano detto di riprendere solo sorrisi e risate, baci e abbracci e
altre smancerie false. “E non ti scordare della verità.”
mi avevano detto. “La verità è importante, per questo
la devi rendere accettabile.”
Accettabile.
Avrei
voluto confutare i miei datori di lavoro, avrei voluto menzionare
almeno una dozzina di filosofi e poeti, che nemmeno ricordo, per
contrastare quello che avevano affermato, ma mi ero limitato a
un'alzata di spalle. “Ricorda, è una cena di
beneficenza, quindi sorrisi e risate, baci e abbracci.”
Be',
io l'ho fatto. Ho raccolto mezze lune rovesciate sui volti dei
politici, che, guarda caso, stringevano la mano ai miei datori di
lavoro. Ho registrato mogli che abbracciano altre mogli e che parlano
con entusiasmo di come i propri mariti hanno approvato una legge, o
di come hanno aperto una fabbrica in un luogo sperduto, o di come
hanno chiuso un affare molto importante. Tutto molto bello, molto
interessante, avrebbero detto i
miei datori di lavoro. Ho persino colto una persona con il vestito
che costa più del mio stipendio che, con il bicchiere alzato alla
fine del suo discorso, esclamava a gran voce: “Una festa
coi fiocchi.” E poi applausi,
lunghi e assordanti, centinaia di mani che si battevano l'un l'altra
per confermare quella frase. Durante tutto questo, sorrisi su tutti i
volti incipriati. Tutto molto bello, molto interessante.
Manca qualcosa, prima di far vedere agli ospiti della cena le riprese
della serata. Ora è il momento della verità.
La festa è alle mie spalle. Davanti ho un'uscita di emergenza che
apro, senza far scattare nessun allarme. La videocamera riprende
l'esterno del prestigioso ristorante. Tutto molto pulito,
naturalmente, ma basta attraversare la strada per trovare quello che
i miei datori di lavoro chiamerebbero imperfezione. Vicino a una chiesa, un cartone fa da lenzuola a un uomo vestito con un
giubbotto che un tempo doveva essere verde. Piccoli grumi di nylon
fuoriescono dallo strato superficiale, come se quei tagli nel
giubbotto fossero ferite. Il cappuccio gli copre la testa, la barba
gli copre il viso. L'uomo mostra solo parte delle guance e gli occhi,
neri e vuoti, direi rassegnati.
Sono
ormai abbastanza vicino da poterlo riprendere. Cerco di attirare la
sua attenzione con un “Ehi, vecchio mio!”, anche
se lui mi stava già osservando da quando sono uscito dal ristorante.
Gli allungo il piatto di gamberetti fritti che ho preso dal buffet
della festa. “Spero che tu abbia fame.”
gli dico.
Lui lo prende e io sistemo la videocamera. Mi ringrazia.
Ed eccolo lì, pronto a essere raccolto dall'obbiettivo, il miglior sorriso di quella serata di beneficenza. Un sorriso coi fiochi,
avrebbe forse detto l'uomo del discorso. Un sorriso interessante,
avrebbero forse detto i miei datori di lavoro. Un sorriso
accettabile, dico io.
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