Monte Alto è circondato dall'oceano l'aria è fredda e corrosiva, la gente per poter sopravvivere è costretta a vivere nelle caverne agognando la vita nella Bolla, dove la natura prospera e l'aria è incontaminata. Lo sanno bene Mina e Robi che, per poter entrare nella Bolla, sono costretti a indossare l'ombra, rinunciando alla loro libertà e portando a termine gli incarichi assegnati dal collare. Le ombre non sono autorizzate a parlare con i cittadini, non sono autorizzate a fare nulla se non espressamente richiesto.
Solo così possono respirare l'aria tossica fuori dalla Bolla per un massimo di 150 ore.
Quindici anni fa, Pit era un ragazzo che stava per diventare orfano. Con il padre in coma e senza madre, si ritrova a fare lo spacciatore, scrivendo il suo disappunto per la vita sui propri diari. Disappunto che cresce quando il padre, ancora in coma, sparisce nel nulla senza lasciare alcuna traccia. Ora Pit non è più un ragazzo, ma non ha mai smesso di pensare al padre, anche continuando a vendere la cocaina per le strade di Terni. I motivi per cui cova ancora la speranza che il padre possa apparire da un giorno all'altro sono le pagine che scrive: in qualche modo, sembra che il padre possa leggerle.
Alice Sebold ci racconta una vicenda di cronaca che potrebbe occupare le pagine dei nostri telegiornali e quotidiani. La racconta in modo estremamente delicato utilizzando la prima persona, attraverso gli occhi della vittima, Susie che assiste dal suo cielo ai cambiamenti che la sua morte provoca nelle vite delle persone a lei care, persone che aiuta a tracciare una linea tra passato e presente, tra la vita con lei e la vita senza di lei in modo da riconciliarsi con il dolore.
A forza di rinchiudersi
nella sua camera oscura, che gli ricordava tanto un rettilario per
via delle luci e temperatura al suo interno, Ronald aveva scoperto
una sensazionale abilità. Intanto, come si compiaceva di notare,
andava impadronendosi via via sempre di più dei segreti della
composizione e della prospettiva. Nelle sfumature di grigio dei
negativi che maneggiava e tendeva con cura come sacre sindoni sapeva
già vedere con un'esattezza assoluta i colori nascosti che si
sarebbero rivelati dopo lo sviluppo. Ma, più importante ancora, in
quei rullini gocciolanti riusciva a vedere i suoi soggetti, uomini e
donne, spesso bambini, come qualcosa di diverso. Gli alter ego
negativi conservavano sempre qualcosa delle figure originali, ma
erano allo stesso tempo diverse, mutate, invecchiate, trasformate.
Salve gente!
Ecco qui il mio ultimo video sul tubo, dove, come sempre, ho sbagliato qualche scritta qua e là (quando Edmondo presenta uno dei "pessimismi" di Leopardi, presenta quello STORICO e non quello cosmico come dice la scritta).
Vi ricordate di Ciardiello? Colui che mi ha battuto al primo Terni Horror Fest al quale ho partecipato, colui che è poi sempre arrivato in finale allo stesso concorso letterario. Colui che ha poi anche pubblicato un libro con la Dark Zone edizioni. Ecco, sono riuscito a farmi mandare un suo racconto, un corto di cento parole. Buona lettura!
Trascorsi la ricreazione in bagno. Tornata in classe non mi mossi dal posto e non andai alla lavagna quando la maestra me lo chiese, aspettavo la campanella di uscita e ogni tanto scostavo il grembiule per sbirciare tra le gambe. Alla fine suonò, ma non feci la fila con i compagni, temevo di alzarmi. Rimasi sola, strinsi con un nodo le maniche della felpa sui fianchi e guardai la seduta. Era pulita.
– Siamo a pranzo da nonna – disse mia madre fuori dalla scuola. – Per favore, andiamo a casa – risposi.
Con un cenno brusco mi invitò a chiudere lo sportello della Renault e a non fare la solita. Io, così brava a rovinarle le giornate. Canticchiava fissando la strada, fuori tutto correva e dentro la musica era alta. Quando mi costrinse a tirare su il finestrino perché l’aria non le spettinasse la messa in piega, mi sentii morire. Avrei dovuto raccontarle del fastidio bagnato tra le gambe e di quell’odore che non riconoscevo. Per bisogno, non per confidenza. Ma la nostra normalità non me lo permise.
I riflessi del sole fra i rami frondosi continuavano a colpirlo come un raffinato massaggio antidiluviano: mille punture di piacevole calore che accarezzavano il suo viso per una frazione di secondo prima di ripiombare nell'ombra e tornare alla luce, secondo dopo secondo, minuto dopo minuto, ora dopo ora. Erano ormai quattro ore che pedalava lungo il sentiero sterrato che attraversava le colline sparse tutte intorno a lui, ma la stanchezza non accennava a farsi sentire; diventava anzi sempre più avido e affamato di strada, smanioso di immergersi anima e corpo in quel paesaggio paradisiaco fin dentro al cuore di quella regione che non tocca mari ma è oceano essa stessa, dolce distesa verde a perdita d'occhio tra filari di viti e campi di olivi.
Non ho mai pensato alla morte, la sentivo così lontana, quasi impossibile.
Non ho mai pensato alla morte, non ne avevo paura.
Non ho mai pensato alla morte, tranne quando mia nonna ci ha lasciato. Ricordo perfettamente quel giorno e la sensazione che stesse per succedere qualcosa, una sorta di richiamo che spinge a prendere il telefono e fare un ultimo saluto, a dire un ultimo ti voglio bene. Erano sufficienti pochi minuti e sarebbe stato possibile. La memoria torna indietro nel tempo, come a volerlo rivivere.
Seduto sulla sedia, sguardo fisso su un punto del tavolo. I palmi delle mani a coprire le orecchie. Busto dondolante che si trascina la testa ogni volta che cambia direzione. Avanti e indietro, avanti e indietro. Preme ancora di più sulle orecchie. Bisbiglia: «Non ora.» Poco più di un sussurro. «State zitti, state zitti.» Ispira quando il busto va indietro e parla quando va avanti. Dondola il busto, dondola la frase. «State zitti. State zitti.»
Non mi disse addio prima che partissi, ma mi pregò solamente di portargli una foto e quando, all'epoca, atterrai finendo la missione, ne tirai fuori una dalla tuta. Lui non si ricordò nemmeno di aver espresso quel desiderio – sembrava solo felice di vedere il suo papà appena tornato dalla Luna – ma quando la vide, allargò ancora di più quel sorrisetto sdentato. Gli occhi gli brillavano per l'emozione che solo un bimbo sa provare e condividere con il proprio padre:
Iniziamo per gradi: prima di elencare i motivi per cui lo considero uno dei miei libri preferiti, partiamo dalla classica sinossi, copiata e incollata dal negozio qui sopra.
Spegne il motore e sfila le chiavi. Sospira. Aspetta a scendere dalla macchina: accarezza il volante e fissa attraverso il parabrezza il muro del garage. Per cosa se la prenderà questa volta la moglie? Per il ritardo di un'ora dal lavoro? Come se le importasse qualcosa se lui la tradisse. Per non avergli lasciato la carta di credito? Una giornata senza le amiche in giro per i negozi: un ottimo oggetto di discussione. Del resto, le galline sono animali che vivono in società, più o meno, a chiocciare tra loro di ogni minima cosa: Hai visto quella nuova borsa nella vetrina? Lo sai che la nostra casa è costata miliardi? Hai sentito cos'è successo all'amministratore di non so cosa? E coccodè e coccodè...
Minigonna, stivali fino alle ginocchia, cosce nude, corsetto a stringere la vita e il seno, a gonfiarlo, labbra viola, capelli sciolti, viso truccato e occhi che urlavano un'unica parola: sesso. Capello a punta, da strega. Camminata a gambe incrociate fino al bordo del letto. Si piega. Guanti fino ai gomiti, le mani che avanzano sulle lenzuola, poi le ginocchia.
Ora i seni si vedono meglio. La gonna copre a malapena il fondoschiena che la strega si porta dietro, come un vagone ondeggiante. Le mani della ragazza arrivano alle ginocchia. «Dolcetto o scherzetto?» chiede, con un dito tra le labbra.
Sdraiato sul letto, lui freme, ovvio che freme; chi non la vorrebbe una strega così? «Credo che assaggerò il dolcetto.» risponde.
La ragazza sorride, abbassa il viso, il vagone dietro è ancora alzato, la gonna lo scopre un po' a rivelare i glutei che, da quella posizione, ricorda vagamente la forma del cuore. Lei sbottona i jeans, preme con il palmo sull'eccitazione nelle mutande, e poi via anche queste.
«Oh, sì, Elisa.» sussurra senza volerlo. Sorride all'idea di quello che sta per fare la strega. Eccoci. Ci siamo. Si sta abbassando con le labbra schiuse...
L'odore
di Famiglia si sta affievolendo, sta svanendo. Sto cercando di
trattenere questo profumo il più a lungo possibile, ma – sniff,
sniff – viene sostituito dell'odore di gas di scarico, dall'odore
di gomme e di asfalto scaldato. Famiglia è andato via; osservo la
direzione in cui è scomparso. Ritornerà, ritorna sempre. Anche
quando mi lascia a casa, la famiglia ritorna ogni volta. Scodinzolo
al pensiero: la coda sull'asfalto alza la polvere.
Non
mi ha mai lasciato in questa strada sconosciuta. Non capisco perché
dovrei aspettare proprio qui, ma ci sarà sicuramente una ragione.
Il
Sole è quasi sopra di me; tiro fuori la lingua per il calore e mi
guardo intorno.
Qui
ci sono solo contenitori di metallo di tutti i grigi possibili,
contenitori che vanno veloci, che odorano di petrolio bruciato, che
fanno un sacco di rumore e dove gli umani entrano per andare lontano.
La famiglia mi ha portato qui con il suo contenitore. Quando avrà
finito quello che deve finire, tornerà a prendermi per andare a
casa. Magari giocheremo un po' con il bastone.
Sì,
sarebbe bello. Torno a scodinzolare. Solo io e Famiglia che giochiamo
al bastone.
Quel
contenitore tornerà, la famiglia mi farà salire dentro e cercherò
di fargli capire che voglio giocare.
La spiaggia non era pulita: i residui delle mareggiate d'inverno, paglia marina, canne e pezzi di legna la macchiavano a tratti. Trascinava i piedi tra gli avanzi del mare, barcollava a passi improbabili, preceduto dalla sua ombra allungata.
Questa gli rideva nel cranio: Cadrai tra le onde. Si prendeva gioco di lui: Cadrai tra le onde e sarai solo un altro... residuo! Sull'ultima parola, la voce tuonò e vibrò con forza nella mente.
No! Poteva farcela invece. Anche lei soffriva, Robert lo sapeva. È solo una stupida ombra, non la devo stare a sentire. Continuò ad avanzare: passi piccoli, incerti; le punte delle scarpe disegnavano sulla sabbia. La pistola. Mancavano pochi passi alla pistola.
Un altro residuo. È questo che vuoi?
Smettila! Nella sua mente fu un grido. Le sue orecchie sentirono solo un sussurro spezzato: «Smet... tila.»
Rideva. Tuonava dentro di lui.
Le ginocchia dell'ombra si avvicinarono a quelle di Robert: tremante, si vide costretto a interrompere il cammino e affondare le rotule nella sabbia.
Non puoi...
Incordò i muscoli e cercò di rimanere eretto sulle ginocchia. Si sforzò, sudò, iniziò a sentire l'acido lattico.
… combattere...
Le sue dita si persero tra i granelli sottili, le braccia a reggere il peso del corpo e a contrastare la forza con cui l'ombra lo voleva buttare giù. Sentiva i propri muscoli lavorare, tirare, spingere. Non ce l'avrebbe fatta, ora lo sapeva. La pistola era a pochi centimetri da lui. Quanto sforzo ci sarebbe voluto per prenderla, portarsela alla testa e sparare? Quanto sforzo, se già stare a quattro zampe era impossibile?
Okay, forse sto un po' esagerando, ma questo qui sotto che state per leggere (perché siete qui per leggere, giusto?) è un vero e proprio esperimento di scrittura. Nasce da un'idea di me medesimo (sì, non poteva venire da qualcun altro un'idea così strampalata) ed è stata realizzabile grazie al progresso della tecnologia negli ultimi tempi.
Avete presente l'applicazione Telegram? Be', per chi non la conoscesse, vi basti sapere che è una sorta di alternativa a Whatsapp (questa la conoscete tutti). C'è chi dice che la prima sia più sicura della seconda, c'è chi dice che la seconda sia meglio della prima. Comunque stiano le cose, Telegram ha una cosa che Whatsapp non ha: la ricerca globale. Ovvero, non serve per forza il numero di telefono per poter chattare con qualcuno.
Per mettere in pratica la mia piccola idea ho solo digitato "scrittore" nella ricerca globale e indovinate... Nessun risultato. Con il termine "scrittrice" è andata meglio.
Dopo qualche tentativo di interazione umana (non tutti sono disposti a rispondere a uno sconosciuto che ti ha trovato per caso tra migliaia utenti), sono riuscito a convincere la qui sotto presente Aaureex (che non ha voluto svelarmi il suo vero nome) a scrivere un racconto in chat. Le regole erano poche e semplici: ognuno interpreta un personaggio, si scrive una battuta di dialogo ciascuno e tutto questo a tempo perso, proprio come se si dovesse solo rispondere a un messaggio. Ed è venuto fuori qualcosa.
Anticipo a quella marea di miscredenti che salterà fuori che non è stato concordato alcun tema o alcuna ambientazione. Tutto è venuto fuori da sé. L'unica cosa sulla cui io e Aaureex ci siamo messi d'accordo è stato il finale, visto che uno ne dovevamo comunque avere.
Ah, e ovviamente una piccola correzione della bozza è avvenuta, come in tutti racconti del resto.
Non riesce a muoversi: pare che le funi che lo stringono alla sedia
lo vogliano segare ad ogni movimento del corpo.
Non
riesce ad aprire gli occhi: ogni tentativo è inutile e soprattutto
doloroso. Tutto quello che ha davanti è una sottile striscia sfocata
e in penombra, che non gli permette di veder arrivare un altro
deprecabile colpo,
duro, veloce, preciso, come tutti gli altri finora.
La testa gli esplode in chiazze di luce e di dolore.
Passano
alcuni secondi – forse – che vengono dilatati dal tormento.
Secondi stirati, secondi allungati e ampliati, secondi in cui l'unica
cosa che il cervello comanda al corpo è di provare ancora e ancora
dolore. Poi, di nuovo buio, se non fosse per quella sottile fessura
tra le palpebre. Si concede solo ora qualche momento per immaginarsi
il proprio volto trasfigurato
e per cercare di ricordare l'ultima volta che si è guardato allo
specchio.
La sua faccia nello specchio. Non è questa l'ultima cosa che ha
visto prima che iniziasse tutto? Due facce: la sua e... Un flash, un
lampo e poi l'immagine sparisce. Non riesce a ricordare.
Ormai sembra che ci siano più scrittori che lettori in Italia, e questo forse a causa delle numerose pubblicazioni che ogni anno vengono fuori, con o senza merito (a quanto pare, soprattutto senza merito: il "basta pagare per pubblicare" ci sta rovinando e sta allontanando i lettori).
Ma non divaghiamo. Vi lascio qui sotto un link di un mio articolo, dove do 5 consigli utili per scrivere un buon romanzo, e dico "buon" non perché io ne sappia scrivere uno così, ma perché chi lo sa fare, di norma usa le stesse regole o simili.
Forse ne avete già letto a centinaia di articoli simili, forse no. Vi lascio i 5 punti, così decidete voi.
1. L'originalità
2. Personaggi credibili
3. Esprimere i sentimenti e le emozioni
4. Scrivere di ciò che si conosce
5. Trama solida
Pioggia.
Mi viene naturale chiudere gli occhi, anche se non serve.
Pioggia,
pioggia, pioggia, miliardi di goccie d'acqua che rispettano solo una
legge, senza badare a nessuno. La legge di gravità. Le goccie
cadono, colpiscono, cadono, bagnano, cadono, risuonano. Come dita di
un bambino che spingono a caso i tasti di un pianoforte, anche se,
per quanto il bambino possa essere fortunato, non produrà mai un
suono simile, un suono così in armonia con la legge di gravità. Mi
piace questa legge, perché è l'unica che posso veramente sentire.
Paolo fa l'ultimo nodo con una smorfia finta. «Et voila!» esclama,
mentre mostra ai bambini la sua creazione. «E ora come lo chiamiamo
questo cagnolino?» Si tocca più volte il naso rosso. Fissa ogni
viso, uno per uno, e si ferma su quello di Diego: il sorriso con un
dente in meno, il volto solare, testa liscia e riflettente, occhi
celesti, grandi, enormi – sarebbe facile perdersi* in quelle
pupille, se solo qualcuno le osservasse per un paio di secondi. Paolo
porge il palloncino a forma di cane al bambino. Lui tende le mani, lo
afferra e se lo stringe al petto.
«È un momento importantissimo questo, bambini.» urla e subito dopo
si mette un dito sulle labbra. «Shhh.» Mostra il gesto a tutta la
sua piccola platea, ognuno seduto nel proprio letto, girando su sé
stesso. «Allora, Diego, sentiamo questo nome!»
Diego
osserva per un secondo il soffitto. «Ehm... » Si tocca un orecchio,
lo tocca di nuovo. «Va bene... Palloncino?»
Interrompiamo
il nostro discorso, qualunque esso sia, e ci mettiamo in ascolto. Non
ho altra scelta, in fondo. Un rumore gutturale, basso, un rombo
echeggia contro e pareti delle montagne intorno a noi e ti vedo
fremere per l'eccitazione: i peli delle braccia che ti si alzano
quasi fossero orecchie drizzate, orecchie in ascolto. Ma non lo senti
solo con i timpani, questo rumore, o solo con le braccia. No. Questo
è un suono che senti con i polmoni, che ti vibrano dentro incuranti
del respiro che ti serve per sopravvivere.
Ma è
proprio lì, quando il respiro si ferma, che si vive di più e tu lo
vivi questo suono, vibri insieme a lui come se i cavalli di potenza
sotto quel cofano rumoroso ti galoppassero sotto.
Senti,
senti, senti.
Vvrrruuummm...
Chiudi
gli occhi e ti vedi a quel volante: ora corri, corri fantino,
schiaccia quel pedale e fai sfrecciare quelle centinaia di cavalli
sotto di te. Butta fuori l'adrenalina che ti tieni dentro, falla
uscire nel grido e strilla, esclama, urla!, esprimi la fantasia che
t'abbaglia la mente in quei pochi secondi che dura questo rombo.
Corri,
fantino, schiaccia quel pedale e immagina il movimento dei pistoni
che scorrono su e giù, su e giù, senza mai fermarsi, su e giù solo
per te, solo per il piacere delle tue orecchie. Immagina quel cofano
tuo, perché è tuo in questi pochi secondi, immagina le strade che
percorri in compagnia costante di questo suono, le curve, le frenate,
l'accelerazione, il motore che ti fa le fusa a mezzo metro dal naso:
Vvrruuummm...
Che...
musica, ragazzi!
Con
la mente in viaggio, fantino, premi quel pedale e diventa maestro del
rombo che più ti piace. Io aspetterò che torni.
Vedo solo la sua nuca e i suoi capelli. Mi alzo e lo osservo per
intero: i pantaloni abbassati fino alle ginocchia, culo all'aria.
Credo che stia piangendo, non so se per il dolore o per la vergogna.
Mi giro verso la bambina e sento che la domanda inizia a insinuarsi
tra i miei pensieri. Cosa c'è che non va in me? Me lo chiedo ogni
volta, ogni santa volta, quando vedo, sento su di me il peso, la
paura, il terrore degli occhi sgranati e lucidi. Come quelli di
questa bambina, raggomitolata nell'angolo del garage, braccia che
circondano le ginocchia, incapace di decidere se ringraziarmi o avere
paura di me.
Ed ecco che anche Giovanni Tasca si cimenta in questa piccola sfida, anche se non ha accettato tutte le regole del gioco (clicca qui per vederle). Buona lettura, gente!
Vaso di fiori 5
Sono un vaso di fiori bellissimo... I miei petali sono colorati,le mie fogli verdissime. Sopra questa scrivania tutto tace, tutto è fermo... Fogli di carta che si muovono al ritmo che da il vento ,che penetra dalla finestra semichiusa. Mi pettino e mi stiracchio perché qua non succede mai nulla il fine settimana... Il telefono è muto, voci, parole, niente, tutto troppo calmo. Ho tanta sete adesso, le mie radici si allungano, ma non trovano più nulla, cosa faccio?/come faccio? Ho bisogno d'acqua. Oh mio dio!?! I miei petali stanno appassendo, oh dio!! Non sono più bello come stamattina! Non posso vedermi così! Qui non mi vuole bene nessuno... Niente acqua, niente vita, è troppo caldo qui, provo a piangere, ma niente, non ho più forza... Adesso chiudo gli occhi per non soffrire e non pensare, se il vento mi sveglierà, gli dirò di riposarsi, perché vorrei sognare di essere in un prato per sentire il mondo sotto di me crescere. Buonanotte a Lunedì.
Ed ecco anche il racconto di Francesco Mazzilli, presente al laboratorio di scrittura. Vi lascio il link al suo blog e vi ricordo le regole del gioco. Ambiente: ufficio deserto Tempo: da sabato sera a lunedì mattina (prima dell'apertura dell'ufficio) Personaggi: nessun essere vivente più grande di un scarafaggio Battute max: 4000 (solo indicativo) Buona lettura, gente! Continua a leggere...
L'esperimento del post precedente ha attirato qualche scrittore, che ha accettato la sfida di far muovere questo vaso dai fiori finti, senza che nessuno lo tocchi. Si tratta in questo caso di una scrittrice, Franca Riso, che ha deciso di scrivere ben due versioni. Perciò, buona lettura gente!
Bene gente! Grazie al nostro già citato Francesco Franceschini (autore di "La quarta persona più importante" e di "Apocalisse in Pantofole" - Verbavolant edizioni) parte un piccolo esperimento per scrittori: scrivere un breve testo, nel quale un vaso di fiori (finti) si sposti dentro un ufficio, senza che nessuno sia presente (fate finta che sia di sabato sera, quando l'ufficio è chiuso e tutti stanno già a casa). Ecco, io ho fatto questo compito, prendendo come scusa proprio la falsità dei fiori e inserendo una premessa, ovvero che il narratore, per non far intoppare la storia, deve far cadere questo vaso. Perciò, immaginatevi un prima e un dopo questa breve scena senza personaggi.
Regole dell'esperimento:
Ambiente: ufficio deserto
Tempo: da sabato sera a lunedì mattina (prima dell'apertura dell'ufficio)
Personaggi: nessun essere vivente più grande di un scarafaggio
Battute max: 4000 (solo indicativo)
La
videocamera è accesa, aspetta solo me e il mio spettacolo. Mi
avevano detto di riprendere solo sorrisi e risate, baci e abbracci e
altre smancerie false. “E non ti scordare della verità.”
mi avevano detto. “La verità è importante, per questo
la devi rendere accettabile.”
Accettabile.
Avrei
voluto confutare i miei datori di lavoro, avrei voluto menzionare
almeno una dozzina di filosofi e poeti, che nemmeno ricordo, per
contrastare quello che avevano affermato, ma mi ero limitato a
un'alzata di spalle. “Ricorda, è una cena di
beneficenza, quindi sorrisi e risate, baci e abbracci.”
In
questo posto l'odore è diverso. A solo qualche decina di metri dal
pub, il profumo nauseante dei drink, il fumo delle sigarette e il
gusto inebriante della marijuana – gusto che, in maniera molto
furba, passa prima dalle narici – tutto questo non esiste più, se
non in una piccolissima parte, proveniente dal mio bicchiere. Ma
l'odore del Martini che ho in mano non può nulla contro quello
dolciastro di questo posto, che, come il pub, si affaccia sul lago –
sempre che una grande pozzanghera d'acqua possa avere una faccia da
affacciare. Sorrido. Mi sembra buffo pensare all'odore dello stagno,
con le sue foglie cadaverizzate che galleggiano su questa piccola
superficie e non su quella del lago. Mi sembra buffo pensare a uno
stagno che guarda un lago, ma questo stagno è ciò che è, con i
suoi bordi alzati verso il paese e abbassati verso il lago. Siamo io,
lei, uno stagno e un lago. Potrebbe essere bellissimo.
Ma
c'è il pub, che si avvicina di più al motivo per cui sono qui.
Il
suono invece è lo stesso, o quasi. La musica e i battiti del suo
tempo mi fanno vibrare ancora i timpani, ma il petto non subisce più
quel ritmo doloroso come se fossi all'interno. Ma il suono non è
solo la canzone house del momento, bensì anche i versi delle rane,
che, nascoste dietro a uno dei cadaveri vegetali ai margini dello
stagno, brandiscono la loro voce, combattendo a pieni polmoni contro
il rumore del pub. Ci sono anche le zanzare che all'orecchio – come
se fosse un grande segreto – mi svellano quella perenne z lunga e
acuta. E sono pronto a scommettere di sentire un elicottero, anche se
nel cielo non vedo nessuna luce lampeggiante.
Ah,
ma di luci ne vedo un'infinità: tante piccole esplosioni a lunga
durata e fisse sullo sfondo notturno. Questa vista non ha nulla a che
vedere con quella del pub. Nulla. Perché le stelle non sono solo
luce; luce che all'interno andava e veniva tanto velocemente da
rischiare l'epilessia. Le stelle sono atomi che si trasformano in
altri atomi, uomini che ambiscono a essere altri uomini, le stelle
sono sogni, progetti, contemplazione...
Il
suono dell'elicottero si fa più intenso, distogliendomi dal mio
breve momento di riflessione. Rimango sdraiato, ma giro la testa e
capisco soltanto ora che in realtà è una libellula che, forse
invidiosa delle zanzare, è venuta a svelarmi i suoi segreti. È la
prima volta che riesco a vedere una libellula in dettaglio,
nonostante la penombra che avvolge lo stagno. Forse alcol e fumo
ragionano per me in questo momento, ma, oltre alla differenza tra le
palle di un elicottero e le ali dell'insetto, la somiglianza è
notevole. I suoi grandi occhi sembrano fissarmi per un istante –
magari è proprio così – e poi svanisce con uno scatto. Non riesco
nemmeno a capire da che parte sia andata.
Ora
che la mia vista è più ampia e non ho più l'insetto davanti,
riesco a vedere lei, sdraiata come me a pancia all'aria. Noto la
siringa accanto al suo braccio destro e capisco che lei sia già
partita per un viaggio ancora più lungo di quello che offre la cara
marija. La osservo per un istante, soffermandomi sulla forma che
hanno assunto i capelli biondi, infiltrati tra i fili d'erba scuri
nella notte. Io mi trovo tra lei e lo stagno, tutti rivolti verso il
lago. Sono pronto a partire per un altro viaggio a mia volta, perciò
infilo le mani nelle tasche dei jeans ed estraggo la mia dose. Senza
alzarmi, mi avvolgo l'avambraccio con un elastico e aspetto qualche
istante.
Nel
frattempo osservo la siringa. All'interno sembra ci sia solo acqua,
dolce e pulita come quella del lago, dolce come quella dello stagno.
Rigiro la testa verso quest'ultimo, magari proprio in cerca della
libellula di prima. Forse lei può fermarmi, forse lei può svelarmi
come fare, come tornare umano e vivere da umano, non da distributore
di viaggi, ladro di futuri, portatore di morte. Forse bastava
lasciare tutto com'era, come questo stagno, che non ha avuto
l'ambizione di diventare il lago poco più lontano. Forse era meglio
fermarsi addirittura all'epoca dei dinosauri che si mangiavano a
vicenda per cibarsi senza avere altra scelta, invece di popolare il
pianeta con uomini come me, in cerca di ragazzine pronte allo sballo.
Forse,
forse, forse...
Sorrido
di nuovo. Possibile che nessuno si sia mai chiesto perché la prima
dose sia gratis? Mi giro verso la ragazza sdraiata accanto a me.
Cerco di provare qualche rimorso, qualche senso di colpa per averle
dato quella merda, invece di fermarmi con lei qui, a osservare
elicotteri, sentir bisbigliare le zanzare e il festival delle rane, a
stare sdraiati e a contemplare le stelle. Cerco in tutto me stesso e
non trovo assolutamente nulla, se non un senso di piacevole guadagno,
sapendo che per la prossima dose la ragazza mi avrebbe pagato molto
bene. Stupidi mammiferi. Stupidi stagni che cercano di essere laghi.
Stupida ragazzina. È tutta loro la colpa per cui io non provo
niente.
All'improvviso
la ragazza inizia ad agitarsi. Forse, per essere la prima volta, ne
ha presa troppa e ora è in overdose, ma non riesco a fare a meno di
ritornare con gli occhi sulla siringa. Nessun rimorso per colpa di
questa. Una stupida siringa.
Infilo
finalmente l'ago nella vena ormai sin troppo gonfia per la pressione
dell'elastico e mi dimentico dei dinosauri, delle libellule, del pub,
dello stupido stagno, dello stupido lago, delle stelle, dei sogni,
delle stupide rane, dello stupido... tutto; mi rigiro verso la
ragazza. Nulla. Non sento ancora nulla. Stupida coscienza, fanculo!
Perché tu non esisti.
Premo
con il pollice sulla siringa e mi inietto la mia dose, la mia stupida
dose. Rivolgo di nuovo l'attenzione al cielo e non vedo più le
stelle, ma solo puntini. Punti bianchi e opachi, senza il minimo
luccichio.
Bene, gente. Ecco che gli amministratori di B.L.U (logo in alto a destra del blog) mi chiedono se posso leggere per loro una nuova antologia intitolata "Amore e Morte" per una futura recensione.
Visto che la "U" della sigla sta a significare "uniti", ho accettato di buon grado e ho inserito questo titolo nella mia lista di letture. Poiché questa lista non è molto corta, intanto vi lascio la segnalazione del volume.
Si parte da "Il mondo dello scrittore" (che ha proposto il tema dell'antologia), fondato nel febbraio del 2012 da Irma Panova Maino, inizialmente come gruppo Facebook, un luogo pensato per dare spazio alle promozioni dei libri degli autori presenti in rete. Tuttavia, fin da subito, si è evidenziata la necessità di non circoscrivere tale vetrina solo al social network, ma di espandere la promozione anche in tutto il web ed è stata questa la spinta che ha fatto sì che nascesse una stretta collaborazione con Andrea Leonelli e il suo blog Opinions on Books. In capo a pochissimo tempo anche Elisabetta Bagli si è inserita nella collaborazione, condividendo la stessa filosofia e gli stessi ideali, apportando, a sua volta, quella creatività e quella passione che hanno permesso di far crescere il network. Nel marzo dello stesso anno è stato creato il sito Il Mondo dello Scrittore (precisamente il 2 marzo), il quale ha iniziato a raccogliere sotto di sé una fitta rete di collaborazioni e un circuito comprensivo di altri blog, in grado di aumentare ulteriormente la visibilità degli autori presenti.
Nel 2014, vista la costante necessità di trovare collaboratori validi, in grado di assumersi determinate responsabilità, Sauro Nieddu è stato inserito nello staff amministrativo, seguito a breve da Andrea Marinucci Foa, Manuela Leoni e Marina Atzori.
Oggi il network è diventato una realtà e un punto di riferimento nel web per tutti coloro che vogliono promuovere le proprie opere, oppure per tutti coloro che desiderano avere contatti più ravvicinati con il mondo dell’editoria e conoscere gli argomenti ad esso collegati.
Parliamo ora dell'antologia.
Da sempre l’amore è strettamente legato alla morte. Persino la nascita, gesto d’amore per eccellenza, è un atto destinato a culminare con la morte. Entrambe le manifestazioni costituiscono le basi dell’essere umano, dandogli quella concretezza e quella motivazione necessarie a renderlo mortale, volubile e ineludibile innanzi al destino. Nessuno può ribellarsi al fato ed esimersi, almeno per una volta nella vita, di esporsi all’una o all’altra. E, per quanto si possa credere di sfuggire all’amore, alla chiamata della morte non c’è speranza. Questo il tema proposto nel concorso Amore e Morte indetto da Il Mondo dello Scrittore in collaborazione con EEE (Edizioni Esordienti Ebook). L’antologia raccoglie i 15 migliori racconti pervenuti, con altrettante personalissime interpretazioni di autori non ancora conosciuti, ma sicuramente interessanti e promettenti.
Il Mondo dello Scrittore non è una casa editrice, per questo l’antologia è stata pubblicata da Edizioni Esordienti Ebook. Vi state chiedendo il perché? Presto detto: l’editore ha già una piattaforma distributiva diffusa, ben avviata e conosciuta. L’editore sa bene come affrontare i costi di gestione di tale piattaforma, oltre a dare prestigio alla pubblicazione, cosa che non avverrebbe con un self publishing anche se ben fatto e curato. L’editore garantisce ulteriori canali che aumentano la visibilità (sito, blog, canale youtube con video, newsletter...). Essere pubblicato un’antologia di questo genere offre all’autore un surplus di visibilità.
Ecco la lista degli autori e dei titoli presenti dell'antologia:
Il cadavere elegante di Tiziana Sartorati
Pezzi di Gingerino di Fabrizio Castellani
Senza fine alcuna di Daniela Cavone
Tra la pioggia di Manuela Chiarottino
Verso dove di Andrea Tavernati
Non startene al vento di Stella Stollo
Il fantasma di un amore di Monica Portiero
Io resterò farfalla di Roberta Andres
La carezza fredda della neve di Luca Ranieri
Non quando Esso vive di Annarita Petrino
Il racconto della montagna di Gianni Antonio Palumbo
La falsa porta di Marilena Fonti
Un Dolce Fantasma di Roberta Boscolo
La cenere e la sabbia di Manuela Leoni e Andrea Marinucci Foa
Sogni ricorrenti di Alex Costa e Nicole Adami
Detto questo, potete scaricarvi il libro online da Amazon, Kobo, Rizzoli, Mondadori e molte altre piattaforme. Buona lettura, gente!
Camminando per le strade della conca ternana, è possibile imbattersi in uno dei tanti adesivi come quello che si vede sulla copertina del libro "Konka, prove di fughe e di resistenza" di Alessandro Chiometti, autore di cui sono particolarmente fiero, poiché, contribuendo al progetto DuO con una sua opera, è spiccato in mezzo ad altri autori vincendo il primo premio di un evento (del progetto DuO, appunto). Attira quindi l'attenzione di Dalia Edizioni e poi, dopo non moltissimo tempo, BAM! se ne esce con il suo primo libro.
Non ho mai creduto di avere dei poteri e non ho mai pensato di essere speciale. Neanche per i miei genitori. Mi sono sempre considerato un bambino come gli altri, ma non un figlio. Sicuramente mia madre qualcosa ha fatto per mantenermi vivo fino a quest'età, tra un sorso di whiskey e l'altro. Mio padre anche, quando non era troppo impegnato per fare a lotta con mamma. Ho sempre cercato di non chiedere mai nulla a loro, perché sono un bambino e non un figlio. E un bambino ha sempre paura della gente che strilla e che scatta per un “ciao mamma” detto a denti stretti.
Quei pochi che mi seguono, sanno che esiste il progetto DuO e sanno che, a un certo punto della sua piccola storia, una delle opere è stata negativamente criticata da un certo soggetto strano, oserei dire stranoforte. Il signor Stranoforte non ha fatto altro che evidenziare i miei errori su una certa introduzione a un opera, che non vado qui a riportare - basta solo ricordare che ho scritto qualcosa del tipo: Amore - una parola di SEI lettere. Ecco, sì, mi sono meritato la critica negativa e dopo averla accettata, ho ripassato le tabelline di matematica, almeno la volta successiva mi sarei fatto trovare preparato.
Un incontro davvero interessante quello con Arnaldo Casali, che non solo ora è ospite del mio blog, ma che è stato anche il primo autore che ho avuto il piacere di intervistare personalmente. Ora, io non sono un giornalista – anzi, il giornalista è lui – ma qualche domanda sono riuscito comunque a porgli, soprattutto in merito al suo libro di cui ne va fiera la città di Terni, dove abito.
Vi lascio qui la sinossi: Perché un misterioso vescovo del III secolo è diventato il protettore degli innamorati di tutto il mondo? Il giovane William Shakespeare ci conduce sulle tracce di uno dei Santi più celebri della storia. San Valentino, come non ve l’hanno mai raccontato. Nel tempo confuso dei mutamenti che metteranno definitivamente in crisi l’Impero romano, un giovane venuto da Interamna sfida la famiglia, la società, il potere con una scelta rivoluzionaria. Una biografia tenuta nascosta per secoli, e poi dimenticata, viene ritrovata casualmente da un giornalista in una biblioteca. La vera storia di san Valentino torna così alla luce, insieme a un segreto senza tempo, consegnandoci un eroe moderno e coraggioso, consacrato a un amore che dalla carne, dalla sensualità, si eleva a sentimento universale.
C'è
quel momento magico prima di mettersi a scrivere, che però non
sempre arriva. Quel momento in cui senti la fantasia che ti formicola
nella testa e non vedi l'ora di vedere cosa è capace di fare, quali
metafore e quali similitudini è in grado di creare per la tua
storia. Ma non sempre arriva.
Bisognerebbe
acchiappare questi momenti e, quando non ci sono, mettersi lì, con
il retino in mano, in cerca della propria farfalla: magari la prima
frase sarà una cagata assurda, ma forse, andando avanti, riuscirai a
far formicolare comunque la fantasia. E tra farfalle e formiche,
qualcosa ne uscirà fuori.
Non so se faccio bene a condividere con voi questo primo capitolo/paragrafo/prologo (sì, nonostante la lunghezza, penso che si possa chiamare prologo) di quello che è il mio romanzo in fase di creazione, anche se alcuni hanno letto già qualcosa e altri hanno letto proprio questo pezzo. Be', che sia giusto o no, io lo posto qui, sperando di avere le vostre opinioni e le vostre critiche, buone o cattive che siano, purché costruttive. :)
Quindi, per chi ha la pazienza di stare a leggere, ecco a voi: