Noi
ci siamo e ti guardiamo.
Noi
ci siamo e ti guardiamo.
Paga
il conto o uccidiamo.
Noi
ci siamo e ti guardiamo.
Lex
si sveglia con quella cantilena nella testa. Seduto al buio, inizia
ad ansimare: il petto che si gonfia e si gonfia in maniera frenetica,
le dita che stringono le lenzuola sotto di lui. Sente l'aria notturna
che gli punge dolcemente il viso sudato. Ricorda ora di aver chiuso
la persiana, ma non la finestra. Accanto a sé, Elena mormora
qualcosa nel sonno, si gira verso di lui e con un braccio gli cinge
l'addome. Lex lascia la presa sulle lenzuola. Lentamente i suoi occhi
iniziano a distinguere gli oggetti in ombra. Sospira e poi torna a
respirare a ritmo regolare. Si rimette sdraiato e fissa il soffitto.
Noi
ci siamo e ti guardiamo.
È
stato un incubo, solo un incubo.
Paga
il conto o uccidiamo.
Si è
fatto influenzare da quello stupido gioco, fatto quasi... Oddio, un
anno fa! Sembra passata una vita. Perché gli è tornato in testa
proprio ora?
Noi
ci siamo e ti guardiamo.
È
stata Elena a ricordarglielo. Il giorno prima, mentre parlavano con
gli amici, la discussione è caduta su quel gioco. Dopo quattro
birre, ogni argomento era valido per continuare a parlare. Com'era?
Dieci anime all'anno in cambio di ogni desiderio. O roba simile. Che
cosa stupida! Forse le anime erano solo cinque. Be', rimane una cosa
stupida. Si gira verso la sveglia: 5:26. Allora è mattina. Ormai non
ha senso rimettersi a dormire.
Paga
il conto o uccidiamo!
Ora
basta con questa cantilena in testa! Lex sposta il braccio della
moglie, le da un bacio sulla testa e riceve come risposta un altro
mormorio. Si alza dal letto. È solo uno stupido gioco innocuo, fatto
insieme agli amici. Era solo uno stupido gioco. Già fatto, passato,
non nel presente, da non pensarci più. Va in cucina, aziona la
macchinetta del caffè e, mentre aspetta che si scaldi, si rolla una
sigaretta.
continua a leggere su Wattpad
*
Le
sue mani erano lisce, come sempre: non riusciva a smettere di
accarezzarle. Otto anni di matrimonio e Lex riusciva ancora a trovare
conforto in quel tatto, a desiderare l'intrecciarsi delle dita, a
bramare di passare sopra il dorso con il pollice. Quel tavolo
all'aria aperta si trovava lì per le loro mani. Birre, posacenere e
quant'altro erano solo un contorno.
«Non
mi stai ascoltando, vero?»
Lex
spostò lo sguardo sul viso della moglie. «Certo che ti sto
ascoltando.» Osservò quel sorriso famigliare, gli occhi grandi,
azzurri, il volto incorniciato dai capelli lisci e neri, il mento
rotondo, le fossette sulle guance, gli zigomi rotondi. «Te l'ho già
detto che sei stupenda?»
Elena
ricambiava le carezze. «Tu non smettere di dirlo.»
Lex
alzò il suo bicchiere e lo sbatté contro quello della moglie. «Alle
tue mani!»
«Alle
nostre mani!» Lo corresse lei.
Bevvero
e appoggiarono di nuovo i gomiti sul tavolo, le mani a toccarsi in
alto.
Lex
si sentì all'improvviso spinto verso il viso della moglie, un
braccio a morsa sul suo collo, un peso estraneo sulle sue spalle.
«Ehi, piccioncini!» La voce allegra di Michele dritta
nell'orecchio, il suo alito sparato sulla sua guancia sinistra,
guancia che poi si trovò a contato con quella dell'amico.
«Cos'è?
Avete una serata senza la piccoletta e volete tenerla tutta per voi?»
Michele liberò il collo di Lex e salutò Elena, facendola alzare
dalla sedia.
«L'intenzione
era questa.» replicò Lex. «Ma tu non ce lo lascerai fare, giusto?»
Michele
salutò anche Lex con una stretta di mano che servì da scusa per
tirarlo a sé. «No che non ve lo lascio fare. Venite, di là stanno
facendo giochi strani.»
Lex,
ora in piedi, osservò Elena sorridendo. «Ti va...»
Lei
alzò le mani. «Tanto non ci lasceranno in pace. Uniamoci a loro.»
*
Dall'altra
stanza, il lamento di Sarah: prima quasi mormorato, poi un pianto in
crescendo. Forse anche lei ha avuto un incubo. Lex spegne la
sigaretta imprecando – dovrebbe smettere di fumare – beve
l'ultimo sorso di caffè e va nella camera della figlia: la trova
seduta sul suo letto, le mani a sfregare le palpebre chiuse e
bagnate, la bocca spalancata in un grido interrotto a intervalli.
Noi
ci siamo e ti guardiamo.
«Papà.»
lo chiama, le braccia alzate verso di lui, a chiedere aiuto.
Sente
la propria faccia ammorbidirsi, gli occhi socchiudersi: un gesto
quasi automatico quando sua figlia gli mostra il bisogno di
protezione. «Non è successo niente, piccola.» Lex la prende in
braccio e le accarezza la testa. «Hai fatto un brutto sogno?»
Il
pianto di Sarah lentamente si smorza, tira su col naso un paio di
volte. «No, è che mi fa male, papà.»
Lex
la fa sedere sul letto. «Fammi vedere. Dove ti fa male?» Si
inginocchia davanti a lei, per darle maggiore contatto visivo.
Noi
ci siamo e ti guardiamo.
«Qui,
sul braccio.» Alza il braccio interessato. «Mi brucia, papà.»
Lex
glielo accarezza. «Ti brucia?» Scende poi con gli occhi sull'arto
della bambina. A caratteri rossi, graffiati, una scritta a fare da
tatuaggio: PAGA IL CONTO O UCCIDIAMO. «Cristo
santo!» esclama incredulo. «Come te lo sei fatto questo, Sarah?»
La
bambina sposta lo sguardo dal padre al braccio. «Che cosa, papà?»
«Perché
ti sei graffiata in questo modo?» Lex passa con le dita sopra la
scritta: nessun rilievo, nessun solco, solo la pelle morbida di sua
figlia. Eppure quei caratteri sembrano incisi dentro la carne.
«Papà,
io non vedo niente. Mi brucia però.»
Lex
fissa la scritta. Sarah non avrebbe saputo fare una cosa del genere.
Sa riconoscere qualche lettera qua e là, ma ha cinque anni, non sa
ancora scrivere. «Qualcuno ha cercato di scrivere sul tuo braccio,
Sarah?»
La
bambina scuote la testa.
Ovvio
che no; che domanda stupida! L'ha messa lui stesso a letto ieri sera
ed è sicuro che se ne sarebbe accorto nel caso in cui la scritta ci
fosse già da allora.
La
cantilena riprende spazio nella testa di Lex.
Noi
ci siamo e ti guardiamo.
Non è
possibile. Eppure sul braccio di sua figlia...
Paga
il conto o uccidiamo.
Noi
ci siamo e ti guardiamo.
*
«Non
dovremmo scherzare con queste cose.» Chiara incrociò le braccia e
distolse lo sguardo.
Lex
non le diede attenzione. «Allora, come funziona?» Avvicinò la
propria sedia al tavolo. «Io chiedo qualsiasi cosa e questa si
avvera?»
Elena
gli schiaffeggiò la spalla. «Non provare a chiedere altre donne.»
Lo osservò e gli rivolse un sorriso innocente.
Scoppiò
una risata generale.
Eduardo
lo ammonì scherzosamente con un un dito. «Occhio, eh! Mia sorella
le sa dare forte. Io ne so qualcosa.»
Lex
alzò le braccia in segno di arresa. «Ehi, non sono stato io a
venire qui. Mi ci ha trascinato Michele.»
Quest'ultimo
affermò con la testa. «È vero. L'ho salvato da una serata tra
piccioncini.»
«Allora,
posso chiedere qualsiasi cosa?» Lex invitò la moglie ad avvicinarsi
a lui con un gesto della mano. «Qualsiasi cosa oltre alle donne,
intendo.»
«Un
desiderio all'anno. E solo per quanto riguarda la parte materiale
delle cose.» spiegò Roberta. Mette il bicchiere pieno di whisky al
centro del tavolo. «E ci sono delle condizioni.»
«Un
desiderio all'anno!» esclamò Lex. «E chi non vorrebbe veder
espresso un desiderio all'anno?»
«Be',
non tutti, visto quello che chiedono loro.» Roberta indicò il
bicchiere al centro. «Sono loro che mettono in moto l'universo
affinché ogni desiderio si avveri. Ma tu devi pagarli.»
«Aspetta.
Loro chi?» chiese Lex.
Roberta
alzò le spalle. «Questo non me l'hanno spiegato. Allora, il patto è
questo: tu dai loro cinque anime all'anno e loro esaudiscono un tuo
desiderio. Per tutti gli anni, fino alla tua morte.»
«Accidenti!
Sanno come fare gli affari questi loro. E se uno a un certo
punto vuole smettere?»
«Non
si può. Diciamo che il contratto è a tempo indeterminato.»
«E
l'unico licenziamento possibile è la morte.» rise Lex. «Quindi io
dovrei uccidere cinque persone all'anno, ogni anno. Che succede se
non rispetto il patto? Il desiderio non si avvera?»
«Oh,
no. Il desiderio si avvera comunque. Il prima possibile. Ma se,
finiti i trecentosessantacinque giorni, tu non avrai rispettato la
tua parte, loro si portano via una persona a te cara, nella maniera
più violenta possibile.»
«Ecco
perché non dovremmo giocare con queste cose.» intervenne di nuovo
Chiara.
«A
me non è successo ancora nulla.» disse Michele. «Eppure ho già
fatto il patto.»
«È
solo un gioco, Chiara.» la rassicurò Lex. «Non crederai veramente
che una cosa del genere sia possibile?»
«Non
si può mai sapere.» Chiara osservò il bicchiere al centro del
tavolo e poi distolse di nuovo lo sguardo. «Dovremmo smetterla.»
«Proprio
ora che stavo pensando al desiderio giusto?» la prese in giro Lex.
Si rivolse di nuovo a Roberta. «E loro ti si mostrano prima o
poi o rimangono nascosti?»
«A
quanto ho capito, se rispetti i patti non ti accorgerai della loro
presenza. Se non li rispetti, be', diciamo che ti danno qualche
segno, giusto per ricordarti quello che devi fare. Per non parlare
poi della persona cara che loro uccideranno.»
Lex
osservò di nuovo il bicchiere al centro del tavolo. «E va bene,
dai. Se non altro per togliere i dubbi a Chiara.»
«Di
nuovo.» la prese in giro Michele.
Lex
si avvicinò ancora di più con la sedia. «Cosa devo fare?»
*
Con
la bambina in braccio, Lex si tuffa nel letto in camera sua e scuote
la moglie. «Elena, svegliati!» Lascia la presa su Sarah che rimane
seduta sul cuscino. «Elena, forza!»
La
moglie esprime la sua disapprovazione con un lungo mormorio.
«Alzati,
dannazione!» urla Lex, dandole un ultimo violento scossone.
Elena
finalmente apre gli occhi. «Oh, ma insomma! Cos'è successo?»
Lex
le indica il braccio della figlia. «Dimmi cosa vedi.» Si rende poi
conto del buio nella stanza: accende la luce dall'interruttore sopra
il suo comodino.
La
moglie si para con una mano dalla luce e si mette seduta nel letto.
«Cosa
vedi?» ripete lui. «Qui sul braccio, dice che le fa male.»
Elena
sbuffa, si strofina gli occhi, ma prende il braccio della bambina e
lo osserva. «Dove ti fa male, tesoro?»
Sarah
le indica la zona.
La
bambina non piange più. Elena accarezza il braccio della figlia.
«Non è niente.» dice. «Vedrai che ti passa.» La moglie manda uno
sguardo di rimprovero al marito. «Mi hai svegliato solo per questo?»
Lex
sente il proprio labbro tremare. «Non vedi niente sul braccio?»
Osserva di nuovo la scritta. «Cioè, nessun graffio, nessuna...»
«Non
c'è niente sul braccio.» Elena scende dal letto e alza la figlia.
«Se le brucia però, bisognerà metterci una pomata. Si sarà
irritata in qualche modo.» Altro sguardo di rimprovero al marito.
«Potevi pensarci tu, non c'era bisogno di svegliarmi.» Sospira e
prende su di peso la figlia. «Andiamo, tesoro. Ci facciamo una
doccia e ci mettiamo la pomata.» Escono insieme dalla stanza.
Lex
sente la voce della moglie allontanarsi: «Vedrai che dopo starai
meglio.»
*
«Per
prima cosa serve il dolore.» Indicò di nuovo il bicchiere al centro
del tavolo. «E dell'alcol.»
«Perché
l'alcol?» chiese Lex. «Di solito queste cose hanno bisogno di
candele accese, simboli disegnati e altra roba simile.»
Roberta
scosse la testa. «Nulla di questo. Solo una formula da dire nel
dolore, dell'alcol sopra il dolore, e la consapevolezza del patto.»
«E
va bene.» Lex si alzò e si allungò sul tavolo per intingere le
dita nel whisky. Si rimise seduto e si rivolse alla moglie. «Elena,
dammi uno schiaffo.»
La
donna lo osservò perplessa. «Vuoi uno schiaffo da me?»
Lex
alzò le spalle. «Sei l'unica qui che potrebbe andarci piano.»
«Non
essere così sicuro.» Elena gli sorrise e lo accontentò. Gli diede
uno schiaffo sulla guancia sinistra.
La
testa di Lex si girò per l'impatto. «Ahia. Allora è vero che le
sai dare.»
«Te
l'avevo detto.» intervenne Eduardo.
Elena
continuò a sorridergli e alzò le mani con i palmi verso l'altro.
«L'hai chiesto tu.»
Lex
sorrise. «Giusto.» Si rivolse poi a Roberta. «Ora devo solo
strofinarmi la guancia dolorante con le dita bagnate di alcol. Può
andare?»
Roberta
fece spallucce. «Non ne ho idea. »
Lex
si umidificò la guancia addolorata. «Poi? Che devo fare?»
«Prima
di tutto esprimi il tuo desiderio. A voce alta.»
Lex
diede un altro sguardo a Elena. «Vorrei che io, Elena e Sarah
abitassimo in una grande villa, ma non distanti dal centro di questa
città.»
«Bene.»
Acconsentì Roberta. «Ora la formula: Voi ci siete e mi guardate.
Ripetilo due volte.»
Lex
obbedì. «Voi ci siete e mi guardate, voi ci siete e mi guardate.»
«Pagherò
il conto o ucciderete.»
Lex
ripeté: «Pagherò il conto o ucciderete.»
«Voi
ci siete e mi guardate.» concluse Roberta.
«Voi
ci siete e mi guardate.»
«Non
dovevate farlo.» disse Chiara.
«Tutto
qui?» chiese Lex. «Come faccio a capire che ha funzionato?»
Roberta
sorrise. «Non lo sai. Ora dovresti darti da fare per uccidere cinque
persone entro un anno.»
«Bene!
Con voi quattro starei già un buon punto.»
«A
me non uccidi?» chiese Elena.
«Tu
fai parte del desiderio.» Lex le fece l'occhiolino. «Ora datemi
quel whisky. Non credo che voi lo volete bere e questo stupido gioco
mi ha messo sete.»
*
Il
caffè al bar è sempre d'obbligo. Okay, non è del tutto vero, ma ci
vuole un altro caffè. Uno buono, preso lontano da sua figlia. Lex,
il bisogno di svegliarsi ancora acceso in lui, beve in un sorso la
bevanda. Si brucia le labbra. Magari quello che è successo poco
prima in casa è stato solo il frutto della propria immaginazione.
Troppo assonnato e ancora troppo influenzato dall'incubo avuto
durante la notte. Il secondo caffè risolverà tutto. Posa la tazzina
sul bancone del bar e va alla cassa a pagare. Quella scritta non può
essere stata reale. Elena non l'ha vista, del resto.
Esce
dal bar: da qui può vedere la sua casa indipendente costata quasi un
milione di euro. Qualche anno fa non si sarebbe mai sognato di avere
un badget simile.
Noi
ci siamo e ti guardiamo.
No! È
solo una dannata coincidenza. Ha avuto successo nell'ultimo anno solo
perché si è dato da fare, non grazie a uno stupido gioco.
Quella
scritta sul braccio... Non può averla vista sul serio.
Sono
stato influenzato dal sogno, tutto qui. A un secondo controllo non la
vedrò.
Fissa
la propria macchina, parcheggiata lungo la strada. È presto per
andare a lavoro. Molto presto. Ritorna con gli occhi sulla villa.
Ora
vado a casa, saluto mia moglie, saluto mia figlia e poi vado in
azienda a controllare la produzione. E non ci sarà nessuna scritta.
Attraversa
la strada e si dirige cancello della villa. Entra nel giardino e
percorre il sentiero in pietra fino all'entrata.
Noi
ci siamo.
Entra
in casa. Silenzio, se non le sue scarpe che colpiscono il pavimento.
E qualcos'altro. Singhiozzi? Sospiri? «Elena.» Nessuna risposta.
I
singhiozzi si fanno più pesanti man mano che Lex si avvicina alla
sua camera da letto. «Sarah.» Questa volta chiama più forte.
Ti
guardiamo.
«Papà.»
La voce della piccola è tremula, debole, un sussurro urlato. I
singhiozzi si trasformano in pianto. «Papà!»
Lex
corre nell'ultimo tragitto fino alla camera. La porta è chiusa.
Dall'altra parte la voce di Sarah che piange. Apre la porta e vede la
bambina raggomitolata, il viso nascosto tra le ginocchia. «Papà.»
Paga
il conto.
«Che
è successo, piccola?» Entra e prende la bambina tra le proprie
braccia. «Dov'è la mamma?»
Sarah
continua a piangere. Mostra il suo viso al padre, poi rivolge
l'attenzione al soffitto. Una frazione di secondo, non un attimo in
più, e tanto basta per aumentare di un tono il pianto, il numero dei
singhiozzi e per farla nascondere di nuovo tra le ginocchia.
Lex
osserva il soffitto a sua volta. «Cristo santo!» Si appiattisce
contro il materasso. «El... Elena.»
Sua
moglie è lì, schiena contro il soffitto, a guardarli dall'alto. Non
emette alcun suono. Il labbro inferiore le trema, le guance rigate da
lacrime che continuano a scendere chissà da quando, i capelli a fare
da aureola. L'accappatoio aperto a mostrare il corpo nudo. Gli occhi
azzurri dilatati, enormi, come se stessero cercando le cause della
sua posizione, occhi sbarrati, impotenti, occhi umidi, imploranti,
occhi rassegnati.
Muove
le labbra mimando il suo nome: Lex. Un Lex muto,
senza rumori, un Lex che
vuol dire tirami giù da qui o
come sono finita qua su. Un
Lex che desidera
spiegazioni e aiuto. Soprattutto aiuto.
O
uccidiamo.
Lex
rimane immobile sul letto con la bambina avvolta nelle sue braccia.
Vorrebbe dirle che andrà tutto bene, ma non riesce a parlare. E
sarebbe una bugia, perché non ha idea di quello che sta succedendo.
Solo
ora la moglie inizia a gridare. Un urlo profondo da far vibrare i
polmoni. Ma anche un urlo acuto, da desiderare avere la palpebre alle
orecchie per chiuderle. Un urlo spalmato su un'unica vocale rocca,
senza interruzioni, senza aver bisogno di riprendere fiato.
Una
linea rossa appare tracciata sul corpo di Elena, dal ventre alla
testa. Una riga che prende a sanguinare man mano che si avvicina al
viso della moglie, che smette di urlare all'improvviso. Dalla bocca
tossisce chiazze di sangue che cadono sul materasso. Il grido di
prima si trasforma in gorgoglii saturi di liquido scuro, denso,
affogante.
Uno
scricchiolio sordo e la mascella della moglie inizia a pendere.
Le
ginocchia e i gomiti sembrano esplodere, spargendo frammenti di ossa
insanguinate.
Nel
busto appaiono altri solchi, altre ferite.
Gli
occhi, con un ultimo tentativo di supplica, implodono.
Il
corpo si squarcia.
Gli
avambracci roteano su sé stessi.
Le
ossa delle anche escono attraverso la pelle.
Cristo!
Lex
sente come se i suoi muscoli non gli obbedissero più. Vorrebbe far
qualcosa, vorrebbe porre fine a quello spettacolo, ma non riesce a
muoversi. Non riesce a respirare. Non riesce a battere le palpebre. È
costretto a guardare il dolore della moglie.
Elena
gorgoglia il suo stesso sangue. Sembra l'unica azione voluta da lei.
Il resto...
Lex
cerca dentro di sé tutta la volontà che ha. «Bas...» riesce a
sussurrare. Si fa forza, inizia a respirare. «Basta.» Un tentativo
di grido. Ci riprova, gonfia i polmoni e urla. «Basta! Ho capito! Ma
vi prego, basta!»
La
testa della moglie si schiaccia contro il soffitto. Il gorgoglio
finisce di colpo. Resta alcuni secondi ancora lì, in alto, poi la
gravità torna e quello che rimane di Elena cade. Parte del corpo
finisce sul pavimento, il resto sul materasso.
*
Lex
affianca la macchina al marciapiede e abbassa il finestrino.
«Quanto?» chiede.
«Ciao
tesoro.» attacca la prostituta. Voce volutamente stridula, falsa,
come l'amore che vende ai suoi clienti. «Con questa bella macchina,
facciamo un centinaio, che ne dici?» Si gira e alza la minigonna a
campana per mostrare la mercanzia.
«Okay,
monta.»
La
ragazza obbedisce. «Vediamo la grana, prima, ti dispiace?»
Lex
tira fuori una banconota da cento euro dal portafoglio e gliela
porge. «Conosci un posto all'aperto? Sai, non voglio lasciare segni
in macchina.»
«Oh,
hai paura che la moglie ti scopra.» Ride lei, infilandosi la
banconota nel reggiseno. «Ma certo. Ti indicherò la strada.»
Lex
mette la prima e parte.
Il
posto è un bosco. Alberi a sinistra e a destra, nessuna tracia
dell'uomo, se non la macchina di Lex nelle vicinanze.
La
prostituta lo guarda. «Allora, iniziamo o no? Se mi fai perdere
tempo ti chiederò altri soldi.»
Lex
le indica con la testa un albero. «Lì. E girati.»
«Non
sei un tipo da preliminari. Non vuoi che io..?» Interrompe la frase
e si succhia un dito, lentamente, molto lentamente.
«No.
Lì, e girati.» ripete Lex.
La
ragazza lo squadra dall'alto in basso, con un'espressione delusa
sulla faccia, ma obbedisce. Si abbassa le mutandine, appoggia le mani
contro il tronco dell'albero e mette in bella mostra il sedere,
vagamente nascosto dalla minigonna. Gira la testa verso di lui. «Dai,
vieni.»
«Non
guardarmi.» ordina lui.
Lei
sbuffa. «Okay.» Si volta verso l'albero.
Lex
rimane dov'è, a osservarla. Dalla tasca tira fuori una pistola, già
carica, e la punta verso la ragazza. «Mi dispiace.» sussurra. Preme
il grilletto. Bang!
La
ragazza si affloscia a terra.
E per
quest'anno sono a posto. Voi ci siete e mi vedete. Avete visto,
quindi lasciate Sarah in pace.
Lex
cerca il bossolo, lo trova, lo infila in tasca e sale in macchina.
L'orologio sul cruscotto gli comunica che è leggermente in ritardo.
Deve andare a casa a cambiarsi e poi di corsa all'università, o si
perderà la laurea di sua figlia.
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