In questo posto l'odore è diverso. A solo qualche decina di metri dal pub, il profumo nauseante dei drink, il fumo delle sigarette e il gusto inebriante della marijuana – gusto che, in maniera molto furba, passa prima dalle narici – tutto questo non esiste più, se non in una piccolissima parte, proveniente dal mio bicchiere. Ma l'odore del Martini che ho in mano non può nulla contro quello dolciastro di questo posto, che, come il pub, si affaccia sul lago – sempre che una grande pozzanghera d'acqua possa avere una faccia da affacciare. Sorrido. Mi sembra buffo pensare all'odore dello stagno, con le sue foglie cadaverizzate che galleggiano su questa piccola superficie e non su quella del lago. Mi sembra buffo pensare a uno stagno che guarda un lago, ma questo stagno è ciò che è, con i suoi bordi alzati verso il paese e abbassati verso il lago. Siamo io, lei, uno stagno e un lago. Potrebbe essere bellissimo.
Ma
c'è il pub, che si avvicina di più al motivo per cui sono qui.
Il
suono invece è lo stesso, o quasi. La musica e i battiti del suo
tempo mi fanno vibrare ancora i timpani, ma il petto non subisce più
quel ritmo doloroso come se fossi all'interno. Ma il suono non è
solo la canzone house del momento, bensì anche i versi delle rane,
che, nascoste dietro a uno dei cadaveri vegetali ai margini dello
stagno, brandiscono la loro voce, combattendo a pieni polmoni contro
il rumore del pub. Ci sono anche le zanzare che all'orecchio – come
se fosse un grande segreto – mi svellano quella perenne z lunga e
acuta. E sono pronto a scommettere di sentire un elicottero, anche se
nel cielo non vedo nessuna luce lampeggiante.
Ah,
ma di luci ne vedo un'infinità: tante piccole esplosioni a lunga
durata e fisse sullo sfondo notturno. Questa vista non ha nulla a che
vedere con quella del pub. Nulla. Perché le stelle non sono solo
luce; luce che all'interno andava e veniva tanto velocemente da
rischiare l'epilessia. Le stelle sono atomi che si trasformano in
altri atomi, uomini che ambiscono a essere altri uomini, le stelle
sono sogni, progetti, contemplazione...
Il
suono dell'elicottero si fa più intenso, distogliendomi dal mio
breve momento di riflessione. Rimango sdraiato, ma giro la testa e
capisco soltanto ora che in realtà è una libellula che, forse
invidiosa delle zanzare, è venuta a svelarmi i suoi segreti. È la
prima volta che riesco a vedere una libellula in dettaglio,
nonostante la penombra che avvolge lo stagno. Forse alcol e fumo
ragionano per me in questo momento, ma, oltre alla differenza tra le
palle di un elicottero e le ali dell'insetto, la somiglianza è
notevole. I suoi grandi occhi sembrano fissarmi per un istante –
magari è proprio così – e poi svanisce con uno scatto. Non riesco
nemmeno a capire da che parte sia andata.
Ora
che la mia vista è più ampia e non ho più l'insetto davanti,
riesco a vedere lei, sdraiata come me a pancia all'aria. Noto la
siringa accanto al suo braccio destro e capisco che lei sia già
partita per un viaggio ancora più lungo di quello che offre la cara
marija. La osservo per un istante, soffermandomi sulla forma che
hanno assunto i capelli biondi, infiltrati tra i fili d'erba scuri
nella notte. Io mi trovo tra lei e lo stagno, tutti rivolti verso il
lago. Sono pronto a partire per un altro viaggio a mia volta, perciò
infilo le mani nelle tasche dei jeans ed estraggo la mia dose. Senza
alzarmi, mi avvolgo l'avambraccio con un elastico e aspetto qualche
istante.
Nel
frattempo osservo la siringa. All'interno sembra ci sia solo acqua,
dolce e pulita come quella del lago, dolce come quella dello stagno.
Rigiro la testa verso quest'ultimo, magari proprio in cerca della
libellula di prima. Forse lei può fermarmi, forse lei può svelarmi
come fare, come tornare umano e vivere da umano, non da distributore
di viaggi, ladro di futuri, portatore di morte. Forse bastava
lasciare tutto com'era, come questo stagno, che non ha avuto
l'ambizione di diventare il lago poco più lontano. Forse era meglio
fermarsi addirittura all'epoca dei dinosauri che si mangiavano a
vicenda per cibarsi senza avere altra scelta, invece di popolare il
pianeta con uomini come me, in cerca di ragazzine pronte allo sballo.
Forse,
forse, forse...
Sorrido
di nuovo. Possibile che nessuno si sia mai chiesto perché la prima
dose sia gratis? Mi giro verso la ragazza sdraiata accanto a me.
Cerco di provare qualche rimorso, qualche senso di colpa per averle
dato quella merda, invece di fermarmi con lei qui, a osservare
elicotteri, sentir bisbigliare le zanzare e il festival delle rane, a
stare sdraiati e a contemplare le stelle. Cerco in tutto me stesso e
non trovo assolutamente nulla, se non un senso di piacevole guadagno,
sapendo che per la prossima dose la ragazza mi avrebbe pagato molto
bene. Stupidi mammiferi. Stupidi stagni che cercano di essere laghi.
Stupida ragazzina. È tutta loro la colpa per cui io non provo
niente.
All'improvviso
la ragazza inizia ad agitarsi. Forse, per essere la prima volta, ne
ha presa troppa e ora è in overdose, ma non riesco a fare a meno di
ritornare con gli occhi sulla siringa. Nessun rimorso per colpa di
questa. Una stupida siringa.
Infilo
finalmente l'ago nella vena ormai sin troppo gonfia per la pressione
dell'elastico e mi dimentico dei dinosauri, delle libellule, del pub,
dello stupido stagno, dello stupido lago, delle stelle, dei sogni,
delle stupide rane, dello stupido... tutto; mi rigiro verso la
ragazza. Nulla. Non sento ancora nulla. Stupida coscienza, fanculo!
Perché tu non esisti.
Premo
con il pollice sulla siringa e mi inietto la mia dose, la mia stupida
dose. Rivolgo di nuovo l'attenzione al cielo e non vedo più le
stelle, ma solo puntini. Punti bianchi e opachi, senza il minimo
luccichio.
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