C'è
quel momento magico prima di mettersi a scrivere, che però non
sempre arriva. Quel momento in cui senti la fantasia che ti formicola
nella testa e non vedi l'ora di vedere cosa è capace di fare, quali
metafore e quali similitudini è in grado di creare per la tua
storia. Ma non sempre arriva.
Bisognerebbe
acchiappare questi momenti e, quando non ci sono, mettersi lì, con
il retino in mano, in cerca della propria farfalla: magari la prima
frase sarà una cagata assurda, ma forse, andando avanti, riuscirai a
far formicolare comunque la fantasia. E tra farfalle e formiche,
qualcosa ne uscirà fuori.
David
si immaginava con uno di quei retini in mano. Aveva il computer
acceso, il cursore lo aspettava lampeggiante sullo sfondo bianco
della pagina e si vedeva su un campo immenso, tutto verde, con questo
bastone tra le mani a guardarsi intorno in cerca di insetti. Ma c'era
solo lui su quel campo e agitava il retino da destra a sinistra, da
sinistra a destra e dall'alto verso il basso. Tra i quadrati della
rete immaginaria, nessuna farfalla.
Sbuffò.
Che
razza di scrittore era? Doveva mettersi al lavoro invece di stare a
fantasticare sugli insetti, aspettando che l'ispirazione arrivi. Le
sue muse erano morte; le aveva uccise lui stesso rifiutando quelle
piccole vibrazioni di pensieri che ogni tanto aveva nella testa,
magari per andare invece a farsi un drink con gli amici, o per
guardare un film, o per leggere un libro. Per flirtare, chattare,
scrivere un post sul proprio profilo. E ora che cercava le muse – o
le farfalle – queste erano solo cadaveri nella sua mente, cadaveri
che solo la sua fantasia poteva far risvegliare.
Tirò
le dita sospese sulla tastiera indietro e le usò per rullarsi una
sigaretta. Aveva smesso, diceva agli altri, ma ogni tanto sentiva
quel bisogno di inspirare qualcosa di diverso dal solito ossigeno.
Fanculo gli altri. Cartina,
filtro, tabacco, qualche movimento d'arte et voilà. Accese il suo
capolavoro e appoggiò i gomiti sulla scrivania.
Il
cursore continuava a lampeggiare. David ci sputò sopra il fumo
appena inalato. Ancora nessuna farfalla per la testa: il retino era
ancora vuoto e lui si sentiva quasi scemo a correre di qua e di là
su un campo immaginario. Cosa diceva sempre agli altri scrittori? Non
c'è bisogno dell'ispirazione, ma solo di volontà.
Ma lui ce l'aveva? Cercando dentro di sé, riusciva a trovare
qualcosa che assomigliasse alla volontà?
Un
altro tiro, un altro sputo sullo schermo. Scrisse una frase. La
cancellò.
Magari
poteva cercare nella sua collezione di farfalle per trovare quella
giusta, quella degna di quel momento. Aveva decine di cartelle piene
di racconti iniziati e non finiti. Forse poteva semplicemente
continuare una delle tante storie che aveva lasciato in sospeso.
L'immagine
del campo verde e del retino sparì dalla sua testa. Ora si
immaginava solo un vortice di documenti che girava tra le sue
sinapsi. Se solo potesse afferrarne uno.
Dannazione
David. Si rimproverò. Chiuse
gli occhi e strette i denti, come se avesse il vortice accanto a lui,
nel suo ufficio, a far roteare centinaia di fogli e appunti. Strette
i denti e saltò in quel vento violento, ma, come in un incubo, prima
di toccarlo si svegliò. Aprì gli occhi.
Lo
schermo stava ancora lì, in attesa di una sua mossa.
Un
altro tiro. Appoggiò la sigaretta sul margine del portacenere e
congiunse le mani dietro la testa. Si lasciò andare contro lo
schienale della sedia e sospirò. Non riusciva a capire se doveva
scrivere o voleva
farlo. Perché farsi del male in quel modo se aveva la testa vuota?
Che bisogno c'era di scrivere?
Ricordò
il contratto editoriale che aveva sempre sognato di firmare. Aveva
messo tutta la sua vena artistica in quella firma, come se fosse
speciale e non uguale alle altre migliaia che aveva fatto nella sua
vita. Aveva sognato quel pezzo di carta per parecchi anni e ora che
finalmente qualcuno glielo aveva consegnato per metterci sopra il
proprio nome, non sapeva bene che farsene.
Il
cursore continuava a lampeggiare, testardo. Batteva i secondi che
David stava sprecando, uno a uno, senza tregua.
Guardò
la sigaretta che si stava fumando da sola. La lasciò fare.
Scrisse:
La sigaretta si stava fumando da sola quando un rumore
improvviso echeggiò nella stanza.
Si
tirò di nuovo indietro sullo schienale e fissò la frase. Cosa
diavolo c'entrava il fumo di una sigaretta con il rumore improvviso?
Ma era questo il modo di iniziare una storia?
Sbuffò
e, con un movimento rabbioso, spinse il tasto per cancellare. Lo
tenne premuto anche quando ormai la frase sparì dallo schermo.
Sospirò.
Questa volta inalò solo ossigeno. La sigaretta era ancora sul
margine del posacenere, da un lato il filtro nascosto dalla cartina
bianca, dall'altro sempre più polvere rovente che si raffreddava in
un istante.
Non
posare il retino, si disse. Non
doveva arrendersi. Se stava davanti al computer era perché voleva
scrivere, ma non sapeva cosa.
Avrebbe potuto iniziare a rispettare il contratto editoriale anche il
giorno seguente, ma lui voleva scrivere ora. Doveva solo acchiappare
qualche farfalla.
Questa
volta riuscì a immaginarsi nello stesso campo verde di prima, a
fissare nel retino un piccolo insetto dalle ali troppo grandi che
sbattevano lentamente l'una contro l'altra come se fossero stanche di
provare a scappare. E ora che ci faccio?
Scrisse
una frase: I suoi movimenti lenti lo facevano sembrare
stanco, affaticato da...
Si fermò all'improvviso, non sapendo bene come andare avanti. Cosa
stava per scrivere? Qual era la storia che voleva raccontare?
Non
ne ho la benché minima idea, si
rispose da solo. Sperava che, magari dopo un paragrafo o due, si
formasse nella sua mente almeno l'embrione di una storia. Ma non era
riuscito a mettere giù nemmeno una semplice frase.
Cancellò
il campo verde, uccise la farfalla nel retino e fece sparire anche
questo. Rimase lui e lo schermo, circondati dalla semplice realtà.
Realtà.
Forse era questa la chiave per
la sua fantasia. O almeno, forse questa era la chiave per la fantasia
che stava cercando in quel momento. Un pensiero gli balenò nella
testa. Non sarà il racconto del secolo, ma almeno è
qualcosa. Sorrise. Soddisfatto,
continuò a rincorrere le farfalle su quel campo verde.
Prese
la sigaretta fumata a metà e la schiacciò su se stessa nel
posacenere. Inspirò a lungo, prima di sospendere le dita sopra la
tastiera. Fissò il cursore che scompariva e appariva a intervalli
regolari, sempre nello stesso punto sullo schermo. Vediamo
quanto sei veloce, lo sfidò.
Scrisse qualche parola, facendo apparire il cursore in un altro punto
della pagina. Continuò a scrivere e finì la prima frase, poi
un'altra e infine un intero paragrafo. Si fermò solo un istante per
rileggere: C'è quel momento magico prima di mettersi a
scrivere, che però non sempre arriva. Quel momento in cui senti la
fantasia che ti formicola nella testa e non vedi l'ora di vedere cosa
è capace di fare, quali metafore e quali similitudini è in grado di
creare per la tua storia. Ma non sempre arriva.
Nessun commento:
Posta un commento
Sii sociale e lascia un commento: un parere, un consiglio, una critica (costruttiva).