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BITE - Forze invisibili
Gettai la tazza di caffè, spargendo il liquido scuro sul pavimento.
Un errore? No. “Piuttosto furbizia, direi..."
Il volto di Emma naturalmente cambiò e per un attimo il suo sorriso
sparì. «Ma cosa stai facendo?» chiese, sorpresa. «Ti sembra il
modo di ringraziarmi per il caffè?»
Era così bella, anche quando si arrabbiava. I capelli danzavano
strani valzer, avanti e indietro, seguendo il ritmo della testa che
si spostava di qua e di là in piccoli movimenti, quasi per dare
maggiore risalto al tono nervoso con cui mi parlava.
Tuttavia quella specie di appuntamento non era stato un granché,
anche se avevo sperato diversamente.
«Fai finta di niente» le risposi con calma, invitandola con un
cenno ad avvicinare il viso al mio.
Sbatté per qualche secondo le palpebre. «Tu sei strano» affermò,
mentre si allungava sopra il tavolo. Si era alzata in piedi per
arrivarmi vicino.
Le presi il viso tra le mani, in un gesto romantico non voluto. «Il
caffè era buonissimo e mi dispiace per com'è andata finora»
dichiarai sottovoce, poi accostai le labbra al suo orecchio sinistro.
«Non spaventarti» le dissi ancora più piano, in modo che solo lei
potesse sentirmi, «ma c'è qualcuno nel locale che ci sta
osservando».
«Dove?» chiese sorpresa, tentando guardarsi intorno.
La obbligai a rimanere voltata verso me. «Mi considereresti ancora
più strano se te lo dicessi». Le diedi un bacio sulla guancia e
ritornai al mio posto. Quello era stato il nostro primo contatto
intimo, anche se si trattava solo di una piccolezza, la quale
tuttavia mi rese molto felice e per un attimo anche lei ne sembrò
contenta. «Tu puoi staccare prima, vero?» chiesi infine, ora a voce
alta. Non capii se il suo viso trasmettesse ancora stupore o questa
volta timore.
Dopo un paio di secondi – secondi molto lunghi nei quali osservai
con la coda dell'occhio il pavimento sporco di caffè – Emma
m'illuminò con uno dei suoi meravigliosi sorrisi e con occhi piccoli
e dolci mi rispose. «A dire la verità, io ho già finito di
lavorare. Mi sono fermata per poterti servire il caffè» confessò.
La sua ira era sparita così com'era apparsa.
Sorrisi a mia volta. Mi piaceva sul serio quella ragazza e volevo
dare un senso al flirt che avevo con lei da più di una settimana.
Purtroppo, qualcuno o qualcosa aveva deciso che quello fosse il giorno
sbagliato per provarci. «Bene» approvai. «Che ne dici se andiamo
da qualche altra parte?»
Mi sforzai di essere paziente, mentre attendevo la risposta, ma la
presenza che percepivo mi preoccupava, per usare un eufemismo. Strane
vibrazioni interferivano con i miei pensieri, mentre continuavo a
tenere d'occhio il lago di caffè per terra.
«Non saprei» rispose lei timidamente. «Forse così corriamo un po'
troppo».
Il cuore iniziò a battermi in gola, mentre i pochi peli che avevo
sulle braccia si drizzarono.
Un brivido...
Qualcosa si stava avvicinando lentamente. Osservai l'interno del
locale con attenzione, senza trovare persone o movimenti sospetti,
poi continuai a guardare la grande macchia sul pavimento.
«Invece di andare, perché non cominciamo da capo?» continuò lei,
ancora con le labbra curvate verso l'alto.
Il brivido diventò sempre più
intenso. Smisi di osservare la ragazza e rivolsi la mia piena
attenzione al pavimento sporco. Aspettai nervosamente. “Andiamo!”
pensai. “Dove sei? Dove sei?”
«Jim» chiamò la mia
cameriera. «Mi hai sentito?»
Sospirai, riuscendo ancora ad apparire calmo, ma non tolsi lo sguardo
da terra. «È un vero peccato, Emma» dissi. «Perché forse dovrai
comunque venire con me».
Rimase di nuovo stupita. «Cosa?»
In quel preciso istante qualcosa fece cambiare forma al lago nero che
avevo improvvisato. Me lo aspettavo, eppure mi lasciò sorpreso. Non
riuscii a capire di cosa si trattasse, ma non persi tempo a cercare
una spiegazione. «Non lo bevi il caffè, vero?» chiesi.
«Cosa?» ripeté lei.
Non aspettai una sua risposta. Presi
la tazza davanti a lei e la svuotai, lanciando il liquido in quella
direzione, ad una ventina di centimetri di altezza dal pavimento.
Come mi aspettavo, un po' del caffè di Emma rimase a mezz'aria.
Avevo imbrattato la presenza che sentivo e ora era possibile vedere
parte di quella che poteva essere una gamba. «Vieni!» ordinai alla
mia cameriera,
allungando la mano verso di lei.
Restò immobile. «Oh mio Dio!» esclamò, le labbra rimaste aperte
nell'ultima vocale.
All'improvviso un suono indefinito riempì il locale. Era assordante
e fastidioso; già sapevo che era opera della presenza che il mio
banale trucchetto aveva smascherato, anche se solo in parte. Forse
era irritata per averle rovesciato addosso del caffè: d'altronde,
anch'io avrei usato un linguaggio poco carino se qualcuno lo avesse
fatto a me.
Saltai dalla sedia, girai velocemente intorno al tavolo e presi Emma
per il polso. La trascinai verso l'uscita del locale, mentre lei
fissava la macchia di caffè che dondolava e si muoveva sospesa a
mezz'aria. «C'è qualcosa di invisibile..» riuscì a dire, mentre
mi faceva da rimorchio.
«Andiamo!» le ordinai ancora, questa volta alzando la voce.
La presenza tolse di mezzo il nostro tavolo e ci inseguì.
«Corri, Emma!» strillai. «Devi correre!»
-«--»-
Alcuni minuti prima...
Eccola lì, la mia cameriera dalle origini italiane.
Stava dietro il bancone a parlare con una delle sue colleghe e la
prima cosa che notai furono come sempre...
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